Ormai la ristorazione gode di una notorietà, spesso fittizia, che porta la cucina da necessità e piacere a fenomeno di moda. L’iniziale interesse destato dalla mediatizzazione – tanto per usare un termine anch’esso modaiolo, orrendo a mio parere - di tutto quanto attiene al mondo del cibo e del bere ora crea fastidio, nausea, quasi repulsione come tutto quanto viene inflazionato. Non trascurando l’eccessiva notorietà regalata a cuochi, pasticceri e affini che diventano dive da opera buffa scordandosi l’essenza stessa delle nostre tradizioni e del nostro essere. Come sempre, moda, popolarità, riflettori, finiscono col danneggiare e invitano chiunque a proporsi per quel po’ di luce, di fama che vogliono o possono ritagliarsi. Oggi tutti sono cuochi o meglio più nessuno è cuoco, tutti sono chef, sommelier provetti e gastronomi d’eccezione; pasticceri e cioccolatieri diventano sovrani da riverire e osannare attualizzando “la figura del cicolatè” – figura da cioccolataio - forgiata da re Carlo Felice riferendosi ad un produttore spaccone e desideroso di apparire. E siccome ogni regnante ha la sua corte, ecco fiorire una marea di cortigiani, giornalisti (non sempre), critici da avanspettacolo e pseudo-esperti che cavalcano l’onda, ergendosi a difensori delle ricette locali, amanti della buona tavola (specie se gratuita), scopritori di talenti (quali?) e soprattutto amici dei già citati sovrani del gran baraccone mediatico che della cucina, ormai, non ricorda nemmeno più l’ubicazione.
Quando L’Artusi, nella prefazione della sua “Scienza in cucina” premetteva che il libro era adatto a chiunque sapesse a malapena tenere un mestolo in mano, non immaginava che poco più di un secolo dopo, molti avrebbero dovuto ripartire da zero imparando le basi, i procedimenti, la cultura, la storia, anche quella delle persone che hanno fatto grande la Cucina, quella con la C maiuscola che non può e non deve identificarsi solo come una scena dove ambientare riprese di spot, programmi, filmati dove il nostro passato sfuma nelle padelle, maltrattato, calpestato, violentato, costretto in contenitori creati solo per fare audience e che si animano al “Ciack, si gira!”.
Basta con i set estemporanei in cucine improvvisate, basta con le telecamere che spuntano da forni, fornelli e lavelli ma soprattutto basta con la pletora di seguaci della cucina da palcoscenico che diventa teatro della non cucina, dell’apparire a discapito della sostanza. Nell’era della comunicazione, dei social network, l’apparenza sembra diventare il filo conduttore ma di questo passo rischiamo di godere virtualmente di un bel piatto che appagherà alla vista - dallo schermo da cui siamo collegati – ma che per nostra fortuna non ci è dato di assaggiare. Cake design insegna!!!
Ridiamo il suo significato al termine cuoco, ritroviamo quella figura semplice, umana, romantica, che dietro a una coltre di vapore sceglie i tagli di carne, prepara fumetti e roux, imposta linee, impartisce ordini a commis e collaboratori, scrive ricette, menu e organizza la spesa. A volta abbaia anche, ma quanti sanno ancora in una cucina il significato del termine aboyeur e la funzione della persona che indica?
Ritroviamo il cuoco, cucinare non è assemblare salse confezionate, materie prime surgelate o precotte. Il cuoco è un artigiano che applica il suo sapere dalla scelta degli ingredienti freschi, alla loro mondatura, preparazione, cottura, fino alla presentazione. Anche artista, esteta e dietista, per completare una delle professioni più belle e nel contempo ingrate. “Ciack, si cucina!”.