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  • Alessandro Felis

Non di solo pane... tempo di digiuno


Per una volta, o per lo meno per la prima volta in questa rubrica, vorrei affrontare un argomento che potrebbe suonare come una campana stonata, apparire come un contro senso ai più, un fuori tema per molti, ma che invece rientra appieno nella tematica del cibo: il digiuno. L’antitesi del piacere, delle seduzioni della tavola, agli occhi di alcuni, l’apoteosi dell’etica del gastronomo per altri. Se oggi si fa un gran parlare, addirittura un gran chiasso di tutto quanto attiene al mangiare e al bere - permettetemi di non scrivere food, come tutti, ma la lingua italiana dispone ancora del lessico adeguato senza ricorrere inutilmente alla lingua inglese – non credo di sbagliare scrivendo che in passato sono sicuramente stati consumati più litri di inchiostro e chilogrammi di carta a scrivere dell’astinenza piuttosto che del cibarsi e del nutrirsi quotidiano. Non solo perché in tempi grami procurarsi gli alimenti non era sempre così ovvio – non dimentichiamo che oggi ancora, parte del nostro amato pianeta patisce la fame – ma come insegnamento religioso, come mezzo di espiazione e penitenza, oltre che, spesso, come rimedio agli eccessi della tavola.


Lavorare nel mondo dell’enogastronomia porta altresì inevitabilmente a incontrare precetti dettati dalle liturgie, significati profondi, fascinosi, misteriosi e spesso impenetrabili. Dalle accezioni del pane e del vino nella Bibbia dei Cristiani, alle prescrizioni “kosher” e “hallal” che affondano motivazioni, a volte ovvie, a volte apparentemente indecifrabili nei testi sacri: Torah, Talmud e Corano, le principali religioni monoteiste - per circoscrivere l’argomento - sono fonti inesauribili di consigli, divieti e limitazioni. Usi e tradizioni che si sono tramandati, più o meno forti, più o meno rispettati per secoli e che fanno parte integrante dei comportamenti di un buon Credente. Si legge spesso che il Cristianesimo rispetto all’ Ebraismo e all’ Islam, è meno rigido in merito alle regole alimentari, forse perché viene sempre alla mente quanto riporta il Vangelo di Matteo: “ Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca lo rende impuro”. Sicuramente, il Cristianesimo, e nello specifico il Cattolicesimo, propone meno precetti alimentari ma non diciamo, come troppe volte si sente dire, che una volta vi era il digiuno quaresimale, vi era l’attenzione al non consumo delle carni, queste norme sono sempre attuali, poco rispettate sicuramente ma quanto mai valide, anche se “ammorbidite” rispetto al passato. Si ricordi pertanto che l’astinenza dalle carni vige in tutti i venerdì di Quaresima - una volta era contemplata per tutti i venerdì dell’anno - e che il mercoledì delle Ceneri e il venerdì Santo, all’astinenza delle carni si aggiunge il digiuno.


Siamo lontani dai tempi (1662) in cui il Cardinale Francesco Maria Brancaccio si rifaceva a una bolla papale per autorizzare il consumo della cioccolata in tazza prima della Santa Eucaristia: “liquida ieiunium non frangunt”, i liquidi non infrangono il digiuno e pertanto si decretava il successo del cibo degli dei nei conventi e nelle religiosissime famiglie aristocratiche, anche prima della Comunione. Partita del Nuovo Mondo, questa disputa aveva coinvolto le alte sfere degli Ordini Domenicani, più intransigenti, e dei Gesuiti, meno rigorosi o semplicemente … più golosi.


Talora, imposizioni delle religioni e necessità umane si confondono o confermano, così dopo gli eccessi del Carnevale (l’etimologia latina ci porta a salutare la carne: “carne vale”), un periodo di mortificazione, appariva utile anche da un punto di vista del benessere personale, dell’organismo che si doveva riprendere, assestare dopo gli eccessi di libagioni e banchetti.


In conclusione, una bellissima frase presa in prestito alla religione ebraica: “la vite assorbe dal terreno le intenzioni dell’uomo che la coltiva”, uno stupendo spunto di riflessione sul legame tra l’uomo e la pianta che più di ogni altre racchiude significati mistici e si propone come vero e proprio ponte tra terra e cielo, originando il vino, bevanda sacra per ogni Credo e alla quale, quel maledetto poeta che era Baudelaire, assegnava un’anima!






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